[...] la letteratura ha il compito sociale di proporre modelli, qualche volta di costruire specchi. Ecco: davanti allo specchio noi sardi facciamo le smorfie. Non c’è immagine, per quanto nitida sia, che riesca a rappresentarci degnamente. La Deledda è uno specchio nitidissimo. Possiamo distrarci con gli arzigogoli della cornice, ma non possiamo sottrarci al riflesso impietoso della sua scrittura. E già dire «scrittura» significa ammettere un problema, denunciare un colpevole. Perché, a stringere, il peccato vero della Deledda è stato «scrivere». È stato, cioè, contravvenire alla regola «non scritta» che governa una società orale come quella in cui è venuta al mondo Grassiedda: rendere permanente ciò che è immensamente modificabile, rendere apodittico l’ipotetico... In pratica fare il punto, mettere i remi in barca. Trasformare quelle smorfie davanti allo specchio in uno sguardo serissimo.
(Marcello Fois, In Sardegna non c’è il mare, Roma-Bari, Laterza, 2008, pp. 81-82)
*consiglio anche pp. 28-30 (I Barbaricini sono ospitali) e pp. 53-54 (Country).
A.S.
...Non lo so. Forse quello di smorfieggiare davanti allo specchio non è un problema solo dei Sardi, ma dell'Umanità. Confesso di non avere al riguardo l'apodittica certezza di Marcello Fois.
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