lunedì 20 aprile 2015

In fondo al mar

In fondo al mar (19 aprile 2015)

A quelli che pensano che lo Stato sia solo un vampiro che succhia il sangue dalle vene della gente; quelli che vorrebbero più libertà e liberismo, che vorrebbero abbattere limitazioni e frontiere, ma allo stesso tempo vedere garantiti e protetti i propri profitti da ogni tipo di concorrenza; quelli pronti a mandare sms da un euro, commossi dai mille spot umanitari e caritatevoli, ma altrettanto inclini ad aggirare i propri obblighi nei confronti dello Stato; a quelli che di fronte alle tragedie in mare pregano per le vittime e a quelli che vorrebbero respingere i barconi, dico che il mercato dell’emigrazione ingrassa le tasche dei criminali al di là e al di qua del Mediterraneo, che l’esistenza di una regia comune è una realtà evidente, quand’anche non fosse in alcun modo dimostrabile in sede giudiziaria, ora o in un futuro prossimo o lontano; che le istituzioni, centrali e locali, sono conniventi, in modo diretto e indiretto; che tutto questo potrebbe finire o essere ridimensionato solo con l’intervento dello Stato, se solo questa parola avesse un senso e una dignità in questo paese alla deriva chiamato Italia, dove un terzo del territorio nazionale è, nonostante i facili trionfalismi, nelle mani della criminalità organizzata, quella militarizzata e quella dei colletti bianchi, che a sua volta condiziona e inquina la restante parte operosa e legale del paese; una criminalità che da anni avvelena impunemente la terra, l’acqua e l’aria di tutti e che da un po’ di tempo ha integrato il traffico di droga e armi con quello della merce umana. Quante volte abbiamo sentito parlare di “strutture di accoglienza al collasso”? Quanti collassi in questi anni? Ma le cose non cambiano e, anzi, peggiorano. Perché l’emergenza è un’occasione di profitti anche nell’ambito della legalità. L’assistenza si confonde con l’assistenzialismo declinato in modo nuovo, purché a pagare sia sempre la cassa riempita dai contributi degli onesti. Uno Stato che fosse realmente tale fermerebbe questo orrore alla fonte, che non si trova solo nelle coste africane e mediorientali, ma anche e soprattutto in quelle italiane. Uno Stato non farebbe patti di alcun genere con le fazioni al potere nei paesi allo sfascio che si affacciano sul Mediterraneo, né per il gas né per lo smercio delle armi, da parte di aziende pubbliche e private. Uno Stato dovrebbe tenersi le mani libere e decidere di anteporre la propria dignità e quella delle orde di disperati che cercano una vita migliore alla realpolitik e decidere di dichiarare guerra una volta per tutte al cancro mafioso che lo divora. Accoglierebbe gli immigrati solo potendone garantire l’ospitalità, aggirando i circuiti criminali che ne regolano l’afflusso, assicurando il rispetto dei diritti umani e civili relativamente ai luoghi di residenza e a quelli di lavoro, così come accade nei paesi più sviluppati. Nessuno ha bisogno di vedere lavato il parabrezza della propria macchina a ogni semaforo rosso. Nessuno necessita di accendini, calze, mutande, rose e quant’altro in ogni parcheggio dei supermercati o all’interno dei bar e dei ristoranti. Nessuna cultura giustifica l’esistenza di campi di “accoglienza temporanea” o residenziali dove ammassare in condizioni disumane rom, sinti o africani e asiatici impiegati come schiavi nell’agricoltura. Il soccorso di uomini e donne ammassati sui barconi alla (presunta) deriva da parte della Marina è solo un servizio (l’ennesimo), pagato con i soldi di tutti, alla criminalità organizzata, che infatti reclama e ottiene indietro con le armi gli stessi barconi, agendo indisturbata da costa a costa. Nessun effetto deterrente, nessuna conseguenza concreta, niente. Solo assistenza umanitaria passiva, come se lo Stato italiano fosse ridotto a un gigantesco ospedale da campo e le decisioni politiche fossero demandate a un ente supremo che vorremmo fosse l’Unione Europea, che in questo modo viene additata come il re lontano a cui rivolgere preghiere e reclami. E invece la responsabilità è tutta nostra, imbelli paladini dei finti diritti umani, della finta accoglienza e della finta integrazione. Noi che, come nel recente passato per i rifiuti, non siamo capaci di trovare soluzioni ma solo di occultare i problemi, spostandone fisicamente o giuridicamente la soglia di tollerabilità, soffiando lontano il fumo mentre sotto tutto continua a bruciare. La cosiddetta emergenza dell’immigrazione è così solo un’occasione per ricordare l’inadeguatezza dello Stato italiano, la sua incapacità di farsi interprete di azioni forti contro il potere criminale dei tanti che ne minano ogni giorno la credibilità, alimentando la frustrazione di milioni di cittadini onesti impotenti. Uno Stato appaltato a classi dirigenti colluse e infedeli che viene facilmente a patti con nemici interni ed esterni, in grado solo di celebrare vuote cerimonie di cordoglio per onorare indegnamente la memoria dei propri autentici servitori e di tutti quelli che dallo stesso Stato chiedono e sperano di poter essere difesi.

A.S.

2 commenti:

  1. Stato? Classe dirigente? Italiani? Che cavolo stai dicendo Willis?

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  2. Questo post meriterebbe l'apertura di un dibattito, spero si possa fare.

    FO

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