In fondo al mar (19 aprile 2015)
A quelli che pensano che lo Stato
sia solo un vampiro che succhia il sangue dalle vene della gente; quelli che
vorrebbero più libertà e liberismo, che vorrebbero abbattere limitazioni e
frontiere, ma allo stesso tempo vedere garantiti e protetti i propri profitti
da ogni tipo di concorrenza; quelli pronti a mandare sms da un euro, commossi
dai mille spot umanitari e caritatevoli, ma altrettanto inclini ad aggirare i
propri obblighi nei confronti dello Stato; a quelli che di fronte alle tragedie
in mare pregano per le vittime e a quelli che vorrebbero respingere i barconi,
dico che il mercato dell’emigrazione ingrassa le tasche dei criminali al di là
e al di qua del Mediterraneo, che l’esistenza di una regia comune è una realtà
evidente, quand’anche non fosse in alcun modo dimostrabile in sede giudiziaria,
ora o in un futuro prossimo o lontano; che le istituzioni, centrali e locali,
sono conniventi, in modo diretto e indiretto; che tutto questo potrebbe finire
o essere ridimensionato solo con l’intervento dello Stato, se solo questa
parola avesse un senso e una dignità in questo paese alla deriva chiamato
Italia, dove un terzo del territorio nazionale è, nonostante i facili
trionfalismi, nelle mani della criminalità organizzata, quella militarizzata e
quella dei colletti bianchi, che a sua volta condiziona e inquina la restante
parte operosa e legale del paese; una criminalità che da anni avvelena
impunemente la terra, l’acqua e l’aria di tutti e che da un po’ di tempo ha integrato
il traffico di droga e armi con quello della merce umana. Quante volte abbiamo
sentito parlare di “strutture di accoglienza al collasso”? Quanti collassi in
questi anni? Ma le cose non cambiano e, anzi, peggiorano. Perché l’emergenza è
un’occasione di profitti anche nell’ambito della legalità. L’assistenza si
confonde con l’assistenzialismo declinato in modo nuovo, purché a pagare sia
sempre la cassa riempita dai contributi degli onesti. Uno Stato che fosse
realmente tale fermerebbe questo orrore alla fonte, che non si trova solo nelle
coste africane e mediorientali, ma anche e soprattutto in quelle italiane. Uno
Stato non farebbe patti di alcun genere con le fazioni al potere nei paesi allo
sfascio che si affacciano sul Mediterraneo, né per il gas né per lo smercio
delle armi, da parte di aziende pubbliche e private. Uno Stato dovrebbe tenersi
le mani libere e decidere di anteporre la propria dignità e quella delle orde
di disperati che cercano una vita migliore alla realpolitik e decidere di
dichiarare guerra una volta per tutte al cancro mafioso che lo divora.
Accoglierebbe gli immigrati solo potendone garantire l’ospitalità, aggirando i
circuiti criminali che ne regolano l’afflusso, assicurando il rispetto dei
diritti umani e civili relativamente ai luoghi di residenza e a quelli di
lavoro, così come accade nei paesi più sviluppati. Nessuno ha bisogno di vedere
lavato il parabrezza della propria macchina a ogni semaforo rosso. Nessuno
necessita di accendini, calze, mutande, rose e quant’altro in ogni parcheggio
dei supermercati o all’interno dei bar e dei ristoranti. Nessuna cultura
giustifica l’esistenza di campi di “accoglienza temporanea” o residenziali dove
ammassare in condizioni disumane rom, sinti o africani e asiatici impiegati come
schiavi nell’agricoltura. Il soccorso di uomini e donne ammassati sui barconi
alla (presunta) deriva da parte della Marina è solo un servizio (l’ennesimo),
pagato con i soldi di tutti, alla criminalità organizzata, che infatti reclama
e ottiene indietro con le armi gli stessi barconi, agendo indisturbata da costa
a costa. Nessun effetto deterrente, nessuna conseguenza concreta, niente. Solo
assistenza umanitaria passiva, come se lo Stato italiano fosse ridotto a un
gigantesco ospedale da campo e le decisioni politiche fossero demandate a un
ente supremo che vorremmo fosse l’Unione Europea, che in questo modo viene additata
come il re lontano a cui rivolgere preghiere e reclami. E invece la
responsabilità è tutta nostra, imbelli paladini dei finti diritti umani, della
finta accoglienza e della finta integrazione. Noi che, come nel recente passato
per i rifiuti, non siamo capaci di trovare soluzioni ma solo di occultare i
problemi, spostandone fisicamente o giuridicamente la soglia di tollerabilità,
soffiando lontano il fumo mentre sotto tutto continua a bruciare. La cosiddetta
emergenza dell’immigrazione è così solo un’occasione per ricordare
l’inadeguatezza dello Stato italiano, la sua incapacità di farsi interprete di
azioni forti contro il potere criminale dei tanti che ne minano ogni giorno la
credibilità, alimentando la frustrazione di milioni di cittadini onesti
impotenti. Uno Stato appaltato a classi dirigenti colluse e infedeli che viene
facilmente a patti con nemici interni ed esterni, in grado solo di celebrare
vuote cerimonie di cordoglio per onorare indegnamente la memoria dei propri
autentici servitori e di tutti quelli che dallo stesso Stato chiedono e sperano
di poter essere difesi.
A.S.
Stato? Classe dirigente? Italiani? Che cavolo stai dicendo Willis?
RispondiEliminaQuesto post meriterebbe l'apertura di un dibattito, spero si possa fare.
RispondiEliminaFO