lunedì 21 giugno 2010

Società & Politica. Vuoi lavorare...?

Pomigliano d'Arco. Questo nome potrebbe passare alla storia come simbolo dell'arroganza padronale che ritorna, che torna ad essere l'unica voce, la voce che dispone e che decide, su tutto e per tutti. Come accadeva un secolo fa, quando gli operai, i prestatori d'opera non avevano voce in capitolo sulle questioni e le condizioni del lavoro. Quando il sindacato e il Partito socialista non erano ancora riusciti a conquistare diritti e garanzie fondamentali. Se i lavoratori decidevano di scioperare per dare maggior forza alle loro rivendicazioni, lo facevano a loro rischio e pericolo, perché la forza "pubblica" li caricava armi in pugno, lasciando a terra morti e feriti.
Lo Stato era quello dell'ordine costituito, e l'ordine costituito era quello dei ceti sociali borghesi e altolocati, dei banchieri e degli industriali.
Oggi lo Stato è democratico, la forza pubblica non usa più le armi da fuoco. Eppure ultimamente, in più d'un caso, lo Stato ha dimostrato molta accondiscendenza verso le richieste imprenditoriali, senza chiedere in cambio alcunché per la tutela dei lavoratori. Ora lo Stato non sente nemmeno il dovere morale di opporsi ad un esplicito ricatto del colosso industriale agli operai: lavorerete se accetterete le condizioni di lavoro che io stabilisco. Altrimenti non lavorerete.
Lo Stato accetta (e sostiene, diciamolo pure chiaramente) l'idea che chi offre il lavoro stia su un piano superiore rispetto a chi il lavoro lo cerca. Accetta l'idea che il capitale sia prevalente sulla prestazione d'opera. Eppure il lavoro è un diritto sancito dalla Costituzione, non una regalia o una graziosa concessione.
Il lavoratore, rispetto al datore di lavoro, sta sullo stesso piano di dignità umana e di importanza economica. Il sistema produttivo, l'economia di un paese, funziona se entrambi gli attori concorrono a svilupparlo. Non si può prescindere dal capitale, ma nemmeno dalla forza lavoro.
Lo Stato dovrebbe vigilare contro le angherie di chi pretende di restaurare le condizioni del 1910.

Francesco Obinu

1 commento:

  1. Quando al fine d'un giorno noioso
    La gaiezza risorge nel cuor
    Cerca ognuno il perché prodigioso
    E domanda con grande stupor
    Donde viene questa gioia verace
    Ogni crisi finita è davver
    Forse al mondo ritorna la pace, no, credete, è un motivo più ver
    Se d'affanni, vecchi malanni, non si sente più novella
    Se ciascun sorride lieto e la vita trova bella
    Se ragione misteriosa a gioir ciascuno appella
    Questa è ora senza pari, questa è l'ora del campari
    Brilla il sole nel cielo in festa
    o di pioggia si inondi il terren
    a quest'ora nel cuore si riversta il pensiero che tutto va bene
    poi che la gioia salta e vermiglia e il sol ci rifiuta calor
    campari l'ha chiusa in bottiglia onde tutti ripetono in cor
    Se d'affanni, vecchi malanni, non si sente più novella
    Se ciascun sorride lieto e la vita trova bella
    Se ragione misteriosa a gioir ciascuno appella
    Questa è ora senza pari, questa è l'ora del campari
    Quando gli stranieri in carovana
    Dalle brume di nordico suol ripercorron la terra italiana
    Nel tepore dell'italo sol
    Ammiran sui colli di Roma nuove glorie ed eterno splendor
    Ma lasciando bei fiori la Roma con rimpianto ripeton tra lor
    Se d'affanni, vecchi malanni, non si sente più novella
    Se ciascun sorride lieto e la vita trova bella
    Se ragione misteriosa a gioir ciascuno appella
    Questa è ora senza pari, questa è l'ora del campari

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