Milano, 29 aprile 2010
Devo prendere l’autobus, è notte. Alla fermata, per terra, una persona sdraiata, coperta da una giacca, pare dormire. Vicino, Lei. Premurosa, cerca di stabilire un contatto, si china sull’Altra, forse le chiede se sta male. L’Altra non risponde, o è ubriaca, mugugna, non so. È vecchia, sdentata, scura di pelle. Lui è al telefono, suppongo stia chiamando un’ambulanza.
Se ne stanno occupando loro, sono immigrati, facce di gente che va in chiesa. Io da brava milanese non mi immischio – non ho nemmeno competenze particolari di pronto soccorso. Faccio un giro nei dintorni in attesa dell’autobus.
Al ritorno vedo prima un soldato che telefona, dà le coordinate del luogo, poi una camionetta dell’esercito ferma proprio davanti alla fermata. Lui e Lei ora sono un poco distanti, guardano. C’è un altro soldato nei paraggi. Arrivano anche due carabinieri, di cui uno molto gallonato, e l’altro meno. Penso che la scena sia fortemente incongrua – se uno sta male si chiama l’ambulanza, ma non so se è effettivamente colpa della telefonata di Lui, oppure se è semplicemente il giro di ronda delle numerose forze dell’ordine che garantiscono la nostra sicurezza.
I carabinieri si avvicinano all’Altra, ancora sdraiata come se volesse dormire. Succede qualcosa di ancora più incongruo. Quello molto gallonato non si china a parlare con l’Altra, le dà un calcio verso i piedi, come per svegliare qualcuno che si odia, no, che si disprezza. “Allora!” dice, dicono. Quello poco gallonato subito dopo rinforza il messaggio: le dà un calcio nelle reni. Forte. La Bestia, penso. L’Altra urla di dolore, Lui ride, Lei è girata, non so se ride. Ma Lei a Lui non dice niente. Ma forse non si è accorta che ha riso. Anche il molto gallonato assiste senza dire nulla, si allontana per telefonare, comunicare, chiamare altri bastardi in divisa, non lo so. Io mi avvicino, mi metto di fianco alla Bestia, alla stessa distanza dall’Altra sdraiata.
“Eh, questi non si muovono…” dice la Bestia, rispondendo alla mia mera presenza fisica.
“Vaffanculo” dice l’Altra.
“Vedi, mi ha anche mandato affanculo.”
“Lei le ha dato un calcio” Lo dico con il tono della constatazione, non del rimprovero. Questo è una Bestia, perciò gli do del lei.
“Lei chi è?” dice come per rispondere. Ma non è una risposta.
“Sono una persona. Sto tornando a casa con l’autobus.”
L’Altra dice che lo dirà all’avvocato.
“Sto tutto il giorno in mezzo ai delinquenti” (i suoi colleghi, suppongo) “figuriamoci se ho paura di te o di lei”. Non gli fa paura l’avvocato dell’Altra. Non gli fa paura che l’Altra gridi di dolore. Non gli fa paura che qualcuno si accorga che lui ha sferrato un calcio a una donna a terra, che forse sta male.
Ecco come si fa ad ammazzare Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi e tutti gli altri – mi perdonino che non ricordo i loro numerosi nomi.
“Mi faccia vedere i documenti”. Arriva l’autobus. “Devo prendere l’autobus” dico mentre li cerco. “Vai, vai” mi dice col tono di chi fa un favore. A me o a se stesso?
A me, in questo paese di merda di razzisti violenti e bastardi impuniti in divisa.
Syd di Milano
Non dovevi andartene, semplicemente non dovevi andartene.
RispondiEliminaLeonardo
Oggi condivido il pensiero di Leonardo.
RispondiEliminaStefania Piredda
La rovina della maggior parte della gente è l'indifferenza.
RispondiEliminaIo purtroppo ne faccio parte.
S.P.
E che dire di quelli senza divisa che prendono l'autobus (sempre)? In un post e-deserto fece riferimento alla storiella della "trave e del fuscello", io ne ho fatto il mio pensiero costante...non da adesso!
RispondiEliminaBenvenuta Syd. La "tua" storia è un pugno nello stomaco. Il fascismo è dentro i cuori di pietra di tanti italiani più di quanto possiamo immaginare. Però le inchieste su Scajola forse restituiranno un po' di buon umore a chi non ha dimenticato le morbide carezze di via Diaz.
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