venerdì 24 luglio 2009

Società. C'è anche la campagna

Quando in giornate infernali come queste vedo e sento gli avvenimenti e l’opera devastatrice dell’uomo addosso come un vestito penso alle “campagne di sensibilizzazione” delle istituzioni, alla quantità di denaro pubblico spesa per finanziare depliants, spot e inserzioni per educare e dissuadere i cittadini da azioni folli quali quella di appiccare incendi, peraltro (o forse proprio per questo) con temperature e ventilazione già di per sé extraterrestri. Tutto inutile. All’improvviso ci ricordiamo che esiste la campagna, quella vera e dura, durissima da gestire, che consiste in qualcosa di ben diverso dall’andarci sporadicamente per abboffarsi in un agriturismo o organizzare spuntini di varia ispirazione. È la campagna da dissodare, da tenere in ordine per non lasciare prendere o riprendere il sopravvento all’incolto. Sono le recinzioni da controllare per evitare le invasioni del bestiame. È l’arsura che dilania le fauci di animali e uomini. Dopo l’inverno più piovoso della storia dell’Universo abbiamo pensato che sarebbero finalmente finiti i problemi di approvvigionamento idrico. Vegetazione rigogliosa, Sardegna verde come non mai. Ma tutto quel ben di Dio (non era difficile immaginarlo) si è presto trasformato in un enorme covone arroventato dal sole su cui hanno cominciato a soffiare tutti i venti maledetti di questa isola maledetta. A questo punto mancava solo il tocco finale. E non importa che si tratti di speculazione edilizia, di strategia per l’assunzione di pompieri stagionali, di business del rimboschimento, di troglodita fiducia nel debbio, di casualità, di disattenzione, perfino di autocombustione, se mai è esistita. Quello che importa è che è accaduto mentre non sarebbe mai dovuto accadere, soprattutto in questa estate dopo quell’inverno. La caccia ai responsabili, le polemiche incrociate tra Governo, Regione ed enti locali, maggioranze ed opposizioni, non restituiranno la vita ai caduti di questa guerra, per la quale non sono previsti contingenti umanitari o di peacekeeping. Il fenomeno però (se la cosa può consolare) non è solo sardo, come dimostrano i recenti e ben più devastanti casi in Grecia, California e Australia. Tuttavia potevamo e dovevamo dare un segno di maturità ed invece è tornata la vecchia Sardegna di sempre, arida e senza speranza.

Alessandro Soddu

2 commenti:

  1. Giorgio Oppi, con la sua cravatta slacciata che dice, dalla sede dell’assemblea regionale con il condizionatore a palla. “ma questi degli incendi è una strategia”. Ma va?
    La Alessandra Giudici che dice “bisogna trovare i colpevoli” MA va? E come con le impronte?

    Perché allora non dire scherzosamente che quelli della forestale quando spengono il fuoco dichiarano “istudadi male chi t’azzendene”.

    Quante banalità, sempre le stesse, tutte uguali. Quante banalità di fronte al disastro.
    Tutti a guardare lo spettacolo gratuito del fuoco, da dove viene dove va, in zone si sta sviluppando. Non serve a nulla pensare al controllo dal satellite, alle vedette sulla cima dei monti, con le radio che devono avvertire in caso di fumo.

    Siamo tutti incendiari, siamo alla pari con gli altri paesi d’Europa. Fuoco in tutta la Sardegna, del resto c’è vento è il clima migliore. Lo sdegno è sempre uguale, i morti pure, le devastazioni, le pecore che bruciano in piedi, gli uomini che lottano contro fiamme di metri.

    Le cronache sul giornale sempre le stesse. Cambiate da data, l’anno ma il risultato è sempre lo stesso.
    Non c’è soluzione.
    Non servono le campagne di sensibilizzazione chi appicca sa benissimo cosa fare.
    Non serve più nulla, a parte la pioggia che lo scorso anno aveva mitigato la stagione degli incendi, o forse una maggiore pressione sull’ambiente, sulla natura. Veniva fatto tutti i giorni, quando piove e quando è secco, d’inverno come d’estate.
    Forse l’anno scorso è andata meglio per queste ragioni.
    Anni fa dei famosi elicotteri russi volavano nel cielo della regione di Olbia, facendoci sognare una estate diversa, promessa dal solito nostro presidente Silvio. Non furono acquistati perché troppo ingombranti e poco maneggevoli nelle strette valli della Sardegna. E che Cribbio spianiamo Monte Santo almeno…
    Bene il G8 non si è fatto, Porto Torres chiude, non chiude, semichiude, ma gli incendi come sempre arrivano. È l’unica industria che ci rimane. Purtroppo.

    Franco G.R. Campus

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