lunedì 21 marzo 2011

Politica. Dal sandalo allo stivale alla stampella



Giovedì 17 marzo 2011 sulla Nuova Sardegna (immagino anche sull’Unione Sarda) un’intera pagina è stata acquistata dalla Regione Autonoma della Sardegna per trasmettere il messaggio del presidente della Giunta, Ugo Cappellacci. Lo slogan conclusivo recitava magistralmente (nel senso della comunicazione pubblicitaria) “Dal sandalo allo stivale”, per testimoniare come l’unità d’Italia (lo Stivale) sia passata attraverso il fondamentale contributo del regno di Sardegna (il Sandalo), secondo la ben nota teoria storiografica di Francesco Cesare Casula che il presidente Cappellacci mostra di sposare senza esitazioni: «la storiografia più attenta ci ricorda che, in punto di diritto, lo Stato italiano di cui oggi celebriamo l’unità altro non è che l’antico Regno di Sardegna» ecc. ecc. Ora, sulla continuità di Regno di Sardegna e Regno d’Italia sotto la dinastia dei Savoia non c’è niente da eccepire né da “scoprire”. Non è infatti questo il punto. Quello che mi porta, mio malgrado, a riflettere e scrivere è la logicità, la sincerità e la finalità di certe manifestazioni: istituzionali e intellettuali, individuali e collettive. Mi chiedo: come si può nell’aula del Consiglio Regionale festeggiare il 17 marzo l’unità d’Italia rivendicandone la “maternità” sardo-piemontese e il 28 aprile celebrare Sa die de sa Sardigna, cioè la cacciata (temporanea) dei Piemontesi? come può il Partito Sardo d’Azione fare parte dell’attuale Giunta regionale, politicamente filo-governativa, e contemporaneamente boicottare la cerimonia? qual è la vera posizione dei partiti o dei singoli consiglieri regionali che hanno a più riprese dichiarato di aderire a un progetto indipendentista?
Da parte mia, sento di non avere niente da festeggiare, come sardo e come italiano. Tanto meno trovo sensato dichiarare di “essere contenti”, in termini assoluti, di essere sardi e italiani. A quelli che mi suggeriscono che la riscoperta del patriottismo, dell’inno di Mameli, del Va’ pensiero, di Garibaldi può servire per creare, riscoprire o rinvigorire il “senso di appartenenza”, dico che un attimo dopo aver provato un brivido o versato anche una lacrima di fronte al valore di eroi immortali e alla bellezza di grandi parole e musiche, il mio “senso di estraneità” è ravvivato dall’indecenza di chi ricopre tra le più alte cariche istituzionali, dal cinismo di chi permette l’inutile sacrificio di uomini e dell’ambiente in cui viviamo, dalla strumentale persistenza di un anti-Stato che controlla forse i due terzi della nazione italiana, dal diffuso esercizio dell’egoismo e dell’illegalità. Guardare all’eroismo e ai valori del Risorgimento mi pare allora solo un buon modo per distrarre i cittadini dallo squallore della contemporaneità. Per la Storia provo una tale passione da aver deciso (e avuto la fortuna) di dedicarci la mia vita professionale. Piegarla alla propaganda è compito altrui, anche legittimo. Ma non per questo tipo di festa. Almeno, non per me.

Alessandro Soddu

4 commenti:

  1. Sulla prima parte sono d'accordo con te, meschinità di una politica meschina, priva di qualunque responsabilità che non sia quella dei "responsabili".
    Sulla seconda, le lacrime versate di fronte al Va' pensiero o all'Inno sono le mie, non quelle finte di Silvio o di Giorgio o di chi ti pare, le mie, e non mi distraggono proprio da niente, anzi credo che lo schifo di quest'Italia, e l'esempio degli OPG ne è il culmine, sia dovuto al fatto che nessuno o troppo pochi versano lacrime sull'Inno.
    Mauro Sanna

    RispondiElimina
  2. I sentimenti e le lacrime (o lagrime, così magari fa più risorgimentale) sono legati alla sensibilità personale.
    Invece, precisato che sono d'accordo con Alessandro sul continuum storico - politico-culturale tra Regno di Sardegna e Regno/Repubblica d'Italia, cosa c'entra con essi, invece, il Regnum Sardiniae et Corsicae (il Sandalo di Cappellacci)?

    RispondiElimina
  3. Certo le contraddizioni ci sono, e certo che la nota storiografia che la Regione Sardegna ha deciso, motu proprio di sposare (filone Casula) non solo non è una novità, ma ha al suo interno delle contraddizioni. Tra queste due, e sono sul filone della storia. La prima è che quello che la Ragione vuole festeggiare è l’evoluzione del regno creato da Bonifacio VIII nella bolla Redemptor Mundi del 20 gennaio del 1297 e nella bolla Super reges et regna (6 aprile 1297) quando il pontefice investì il re d’Aragona, Giacomo II, del titolo di re di Sardegna e Corsica. Quindi, seguendo la logica, il 17 marzo 2011 festeggiamo il 150 anno dell’esistenza del Regno di Italia, che deriva da quello di Sardegna istituito da potere feudale e istituzionale riconosciuto nel Medioevo alla Sede Apostolica.

    Secondo il noto storico si dimentica che il Regno di Sardegna ha annullato e sconfitto, il Regno di Arborea, e che questo forzatamente ha venduto le sue prerogative 25 maggio 1425 dopo una prima sconfitta militare e un passaggio mal celato di potere e interessi. Per resto sono d’accordo che tra le date quella del 28 aprile (Sa die de sa Sardigna) è una ricorrenza “romantica” nell’idea della “valorosa” cacciata (temporanea) dei Piemontesi.
    Certo lo slogan dal Saldalo allo Stivale fa pensare all’arto che muove insieme le due cose e che con un movimento fa veramente pensare ad un bel calcio nel ..l. Ma anche questa è una battuta scontata. Ma è un fatto che l’unità d’Italia contribuì a modernizzare il paese, ma la sua fragilità costitutiva lasciò, come ha giustamente scritto Giuliano Amato, “problemi e conflitti che angustiano ancora oggi la nostra nazione incompiuta” . Ma in questi giorni, in questo clima, con il reperntino passaggio dalla festa alla guerra, mi richiama continuamente il testo della canzone di Giorgio Gaber:

    io non mi sento italiano
    ma per fortuna o purtroppo
    lo sono.
    (…)
    questo bel paese
    pieno di poesia
    ha tante pretese
    ma nel nostro mondo occidentale
    e’ la periferia

    mi scusi presidente
    ma questo nostro stato
    che voi rappresentate
    mi sembra un po’ sfasciato
    e’ anche troppo chiaro
    agli occhi della gente
    che tutto e' calcolato
    e non funziona niente
    sara' che gli italiani
    per lunga tradizione
    son troppo appassionati
    di ogni discussione
    persino in parlamento
    c’è un'aria incandescente
    si scannano su tutto
    e poi non cambia niente

    mi scusi presidente
    dovete convenire
    che i limiti che abbiamo
    ce li dobbiamo dire
    a parte il disfattismo
    noi siamo quel che siamo
    e abbiamo anche un passato
    che non dimentichiamo

    RispondiElimina