Nei giorni dell’agonia di Francesco Cossiga e in quelli immediatamente successivi alla sua morte siamo stati letteralmente inondati da considerazioni più o meno ponderate sulla “sardità” o “sarditudine”, in generale e dell’ex presidente della Repubblica in particolare. Devo dire che la cosa mi ha destato da subito fastidio, per la consueta superficialità e il ricorso ai più beceri luoghi comuni, al punto che per qualche giorno mi ha tormentato l’idea di fare un dossier per studiare meglio la questione: qualcosa come I Sardi: chi e come sono, come si sentono, come si rappresentano, come sono percepiti e rappresentati.
Tutto è nato dalla lettura di una delle definizioni di Cossiga date da Eugenio Scalfari su “La Repubblica” del 18 agosto 2010: «fu un sardo integrale» (la tentazione di scrivergli per chiederne la spiegazione è fortissima). Quindi altri editoriali, pezzi, cronache a livello nazionale e locale, tutte infarcite di stupidaggini irripetibili sulla “natura dei sardi”, in singolare coincidenza con l’eclatante protesta del movimento dei pastori isolani all’aeroporto di Olbia. Il cerchio si è chiuso quando in uno speciale televisivo su e con Ennio Remondino quest’ultimo ha ricordato il periodo in cui Cossiga cominciò le sue “esternazioni” dopo un iniziale periodo di silenzio che gli era valso il soprannome di “sardomuto”, «con tutto il rispetto per la categoria dei sardi» si è affrettato a precisare Remondino (il corsivo è mio). A quel punto ho capito che ogni sforzo sarebbe stato inutile e che avrei solo perso tempo e rovinato il mio fegato. Poi oggi l’illuminazione grazie a una chiacchierata con l’amico Franco Campus, che ugualmente si è sciroppato tutta la melassa di editoriali su Cossiga, trovando particolarmente efficaci i ricordi di Scalfari e di Giuliano Amato, che mettono l’accento, senza ipocrisie, sui problemi psichiatrici che hanno a lungo tormentato l’ex presidente. E qui sta la riflessione originale di Franco:
ma non è che una buona fetta di opinione pubblica ha scambiato la verve picconatrice di Cossiga, frutto della sua dilagante depressione, per una sfaccettatura della famigerata “sardità” o “sarditudine” (nella fattispecie quella di essere locos), di cui menava vanto nel suo periodo peggiore lo stesso Cossiga?
Ci sono buoni motivi per crederlo, soprattutto quando sono gli stessi sardi (specie se famosi) ad alimentare e dare autorevolezza a certi luoghi comuni, a cominciare dalla regina delle banalità, l’equazione in rima baciata sardo=testardo. La cocciutaggine, si sa, è qualità ambigua, che coniuga determinazione e chiusura mentale, più la seconda che la prima a dire il vero. Forse in una parola si potrebbe dire “resistenza”, evocando fin troppo facilmente il mito storiografico e politico della “costante resistenziale sarda”, autentico colabrodo che tuttavia gode sempre di un ottimo mercato. Tenacia e testardaggine sono qualità che si addicono certamente ai pastori (forse è questa la categoria freudianamente evocata da Remondino), in quanto tali però e, nel caso sardo, perché prevalentemente calati in una dimensione professionale ed esistenziale per molti versi ancora arretrata. Ma i numeri hanno un peso e una popolazione ovina di tre milioni di capi ha gioco facile rispetto ad un totale umano che supera appena il milione e mezzo. In questo sta la secolare questione: fare tutt’uno tra Sardi e pastori, meglio se con una punta di disprezzo, come fece al telefono qualche anno fa Vittorio Emanuele di Savoia. La realtà è che la Sardegna e i Sardi sono varî, più di quanto possano immaginare loro stessi, che poco conoscono la propria isola e la sua storia. Figuriamoci chi ci guarda da fuori, convinto di aver capito tutto, con il paradosso di venire dipinti come impavidi guerrieri (nuragici o della Brigata Sassari non fa differenza), quando da secoli continuiamo ad accogliere lo straniero con ghirlande di seadas.
Alessandro Soddu
Tutto è nato dalla lettura di una delle definizioni di Cossiga date da Eugenio Scalfari su “La Repubblica” del 18 agosto 2010: «fu un sardo integrale» (la tentazione di scrivergli per chiederne la spiegazione è fortissima). Quindi altri editoriali, pezzi, cronache a livello nazionale e locale, tutte infarcite di stupidaggini irripetibili sulla “natura dei sardi”, in singolare coincidenza con l’eclatante protesta del movimento dei pastori isolani all’aeroporto di Olbia. Il cerchio si è chiuso quando in uno speciale televisivo su e con Ennio Remondino quest’ultimo ha ricordato il periodo in cui Cossiga cominciò le sue “esternazioni” dopo un iniziale periodo di silenzio che gli era valso il soprannome di “sardomuto”, «con tutto il rispetto per la categoria dei sardi» si è affrettato a precisare Remondino (il corsivo è mio). A quel punto ho capito che ogni sforzo sarebbe stato inutile e che avrei solo perso tempo e rovinato il mio fegato. Poi oggi l’illuminazione grazie a una chiacchierata con l’amico Franco Campus, che ugualmente si è sciroppato tutta la melassa di editoriali su Cossiga, trovando particolarmente efficaci i ricordi di Scalfari e di Giuliano Amato, che mettono l’accento, senza ipocrisie, sui problemi psichiatrici che hanno a lungo tormentato l’ex presidente. E qui sta la riflessione originale di Franco:
ma non è che una buona fetta di opinione pubblica ha scambiato la verve picconatrice di Cossiga, frutto della sua dilagante depressione, per una sfaccettatura della famigerata “sardità” o “sarditudine” (nella fattispecie quella di essere locos), di cui menava vanto nel suo periodo peggiore lo stesso Cossiga?
Ci sono buoni motivi per crederlo, soprattutto quando sono gli stessi sardi (specie se famosi) ad alimentare e dare autorevolezza a certi luoghi comuni, a cominciare dalla regina delle banalità, l’equazione in rima baciata sardo=testardo. La cocciutaggine, si sa, è qualità ambigua, che coniuga determinazione e chiusura mentale, più la seconda che la prima a dire il vero. Forse in una parola si potrebbe dire “resistenza”, evocando fin troppo facilmente il mito storiografico e politico della “costante resistenziale sarda”, autentico colabrodo che tuttavia gode sempre di un ottimo mercato. Tenacia e testardaggine sono qualità che si addicono certamente ai pastori (forse è questa la categoria freudianamente evocata da Remondino), in quanto tali però e, nel caso sardo, perché prevalentemente calati in una dimensione professionale ed esistenziale per molti versi ancora arretrata. Ma i numeri hanno un peso e una popolazione ovina di tre milioni di capi ha gioco facile rispetto ad un totale umano che supera appena il milione e mezzo. In questo sta la secolare questione: fare tutt’uno tra Sardi e pastori, meglio se con una punta di disprezzo, come fece al telefono qualche anno fa Vittorio Emanuele di Savoia. La realtà è che la Sardegna e i Sardi sono varî, più di quanto possano immaginare loro stessi, che poco conoscono la propria isola e la sua storia. Figuriamoci chi ci guarda da fuori, convinto di aver capito tutto, con il paradosso di venire dipinti come impavidi guerrieri (nuragici o della Brigata Sassari non fa differenza), quando da secoli continuiamo ad accogliere lo straniero con ghirlande di seadas.
Alessandro Soddu
mi piace molto l'idea dell'accoglienza con ghirlande di seadas: hawaii mediterranee.
RispondiEliminaun'altra cosa: sardo fa innegabilmente rima con testardo, come cuore amore. chiedi ad albano, te lo può confermare.
RispondiEliminaMi hanno chiamato in causa. Immaginare e teorizzare, sempre e comunque, un atteggiamento di costante resistenza delle popolazioni della Sardegna è un stereotipo al quale si deve, erroneamente, rimanere affezionati. Le... ragioni sono tra le più diverse: studi ancora acerbi, immagine culturale, politica. La costante resistenziale è una sorta di ricerca ideologica, come in tutto il Novecento, di qualcosa di puro: sia la razza o la resistenza politica. Una ricerca che deve identificare un popolo e dove il popolo deve cercare la sua identità. Nella seconda parte del Novecento, come diceva anche Cossiga, bisognava rimanere democristiani solo perchè esistevano i comunisti, e viceversa. Ma con ammirazione e rispetto reciproco. Egli fu il primo che intuì che con il crollo del muro di Berlino questa separazione di blocchi era superata? Per questa ragione iniziò la sua terza o quarta vita da picconatore? Ci riuscì del tutto? Ci riuscì anche cinicamente nascondendo delle verità per il bene della democrazia? Ora nessuno, o pochi, ancora potranno rispondere a queste domande. Un fatto è chiaro, molti dei misteri italiani degli anni Setttanta e Ottanta lui, come presidente o come politico, li conosceva. La domanda fondamentale è perchè non ha lottato, in questi ultimi anni, per queste verità? Per il senso dello stato, per la sua origine sarda che gli impediva di parlare prima, e poi di parlare troppo, come un logorroico vecchio pazzo, ma però capace, da gatto mammone di custodire i nuovi gattini?
RispondiEliminaOppure quando, non volendo parlare, ma minacciava di farlo. Oppure secondo il costume tipico dei pastori della Sardegna, quando vengono studiati in modo serio dagli antropoligi seri, che hanno dimostrato che questi utilizzano gli aggettivi al contrario "presidente c'è un mistero, ci sono i servizi segreti, c'è qualche parte dello Stato che puzza di marcio? La sua risposta: Diciamo che non è chiaro, e del resto c'erano sempre i comunisti da combattere, che non erano pane da fare ostia, e poi <>. Un vero Sardo integrale. Ma forse no, forse più semplicemente su makkine resta sempre makkine
Da http://www.spinoza.it/2010/celere-alla-celere
RispondiEliminaÈ morto Francesco Cossiga. Kondoglianze.
È morto Francesco Cossiga. Falce batte piccone.
È morto Francesco Cossiga. Ma puzzava già da anni.
È morto Francesco Cossiga. La salma sarà insabbiata domani.
È morto Francesco Cossiga. Resterà vivo il suo “Non ricordo”.
È morto Francesco Cossiga. Non fiori ma opere di intelligence.
È morto Francesco Cossiga. Aveva 62 anni più di Giorgiana Masi.
È morto Francesco Cossiga. Non si prevedono ulteriori miglioramenti.
È morto Francesco Cossiga. Si continua a girare intorno al problema.
È morto Francesco Cossiga. Pare si sia trattato di un cedimento strutturale.
È morto Francesco Cossiga. Non sapremo mai come si sono estinti i dinosauri.
È morto Francesco Cossiga. In sua memoria verranno osservati quarant’anni di silenzio.
È morto Francesco Cossiga. Le vie che gli saranno dedicate porteranno da tutt’altra parte.
Cossiga aveva 82 anni. Di cui molti nostri.
(Non capisco i giornali che titolano “Cossiga non ce l’ha fatta”. Lo scopo non era morire democristiani?)
Pochi giorni fa Cossiga aveva ricevuto l’estrema unzione. Come se non fosse già abbastanza viscido.
Le ultime volontà di Cossiga: nessuna autorità dello Stato ai funerali. Ci teneva a non dividere la scena con altri cadaveri.
I funerali di Cossiga si svolgeranno in forma privata. È che i cortei numerosi proprio non gli piacevano.
(in realtà Cossiga non è morto. Si è infiltrato nell’aldilà)
Ai funerali saranno presenti numerosi esponenti delle forze dell’ordine. Vestiti da parenti.
Consegnate a Napolitano, Berlusconi, Fini e Schifani quattro lettere di Cossiga. Incredibile, manda già i saluti!
Cossiga ha lasciato lettere alle quattro più alte cariche dello Stato. In ognuna si sparla delle altre tre.
Schifani ha interrotto le vacanze alle Eolie per fare rientro a Roma. Proprio adesso che c’era il terremoto.
Calderoli: “Cossiga ha insegnato qualcosa a ciascuno di noi”. A me, ad esempio, a imitare il sardo.
(Se ci pensate, Cossiga non era molto diverso da un Tampax: da fuori non si vedeva nulla, ma nei bagni di sangue lui c’entrava sempre)
“È inutile che mi guardiate in quel modo” ha dichiarato Andreotti.
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autori: van deer gaz, aldeno, blepiro, fever, milingopapa, serena gandhi, batduccio, faberbros, senter, negus, tacone, archi il leone, valerio, il professor morte, waxen, percoppette, benze, abulafia, richi selva, l’auriga e sirboneddu.