Come si sa, la Storia la scrivono i vincitori, sia che si tratti di guerre con nemici esterni che di conflitti interni, di natura politica, culturale o altro. Così niente ci salverà dall’ondata di celebrazioni del grande Presidente e concittadino (di Sassari; no, di Chiaramonti; anzi, di Siligo). Perché il potere celebra il potere e decide a chi intitolare vie e piazze, palazzi e stadi, anche se il sentire comune spesso ignora o osteggia i destinatari di tanta grata devozione. Verranno dunque commemorazioni, convegni, studi in onore e memoria, targhe e quant’altro per ricordare colui che anagraficamente e politicamente avrebbe dato lustro alla Sardegna: Francesco Cossiga. “Il più giovane” in tutto, da ultimo come Presidente della Repubblica, eppure allora già abbastanza logoro da sentire il bisogno di “picconare” o “esternare” (come si diceva) verso quelle stesse istituzioni nelle quali si era così profondamente incarnato. Uomo politico legato a molti, troppi scandali e misteri, eppure scampato agli sconquassi della fine della “Prima Repubblica”, divenuto nell’era berlusconiana totem di se stesso, inintelligibile, inintervistabile, eppure ricercato e rispettato da molti. Una maschera beffarda associata, da lui per primo, alla natia Sardegna, eppure dalla Sardegna lontana anni luce, se non per l’inconfondibile cadenza e per la vitalità del bacino elettorale, ereditato dal misconosciuto (almeno nell’isola) figlio Giuseppe. Un’associazione troppo facile quella tra Cossiga e la Sardegna: nipote di pastore, federalista, ma sostanzialmente assente. D’altra parte la filologia già dovrebbe suggerire qualcosa: quel Còssiga (da Corsica) trasformato (forse non da lui, ma comunque accettato) in Cossìga dice molto dell’attenzione alle radici. Su quanto i politici sardi in generale abbiano fatto e facciano a Roma per l’isola negli ultimi cinquanta anni parlano sufficientemente i fatti. Non è poi un semplice corollario il fatto che il corto circuito mediatico e politico ed anche turistico-letterario richieda sempre la tematica pastorale, come dimostrano le recenti proteste all’aeroporto di Olbia, quasi che la lingua sarda, data per moribonda, traduca un mondo agropastorale ugualmente a rischio di estinzione: tutto tremendamente vero e maledettamente esotico. Eppure vi è stato negli ultimi anni il successo imprenditoriale prima e politico poi di Renato Soru (benedetto, si disse, da Cossiga: qualcuno dovrebbe spiegare cosa voglia dire), interprete, talvolta in modo assai discutibile, di una nuova e più moderna consapevolezza “nazionale” sarda. Ma è bastato il fuoco di fila degli amici vecchi e nuovi di Roma per spazzare via tutto e ripristinare lo status quo ante. Quando la Sardegna partorirà una classe dirigente degna di rappresentarla a Cagliari e Roma (e magari anche a Bruxelles) non ci sarà più bisogno di sublimarsi di sarditudine nel duty free di Fiumicino o inorgoglirsi per inesistenti padri della patria.
Alessandro Soddu
(18 agosto 2010)
Con il copia e incolla già dal mio profilo di FB. Sul Tema.
RispondiEliminaChe dire dello speciale TG1 di ieri sera sulla figura di Cossiga. Della parte politica non parlo, ma di quella della dedicata alla Sardegna. Della sarditudine come viene definita dalla giornalista. Viene riproposta una precedente intervista tra Cossiga e il giornalista Marco Fritella (vedi al minuto 40 e segg.). E da li... vai con i luoghi comuni sulla Sardegna.
Cosa è la Balentia? Risposta: il coraggio di lottare per una causa giusta in una lotta leale (si ricordi che esiste il codice della vendetta….) tanto che si può sparare al carabiniere, ma non lo si può offendere, questo il codice non lo permette…. Domanda: perché Presidente la Sardegna produce grandi uomini di leggi e grandi banditi.
Risposta alla Cossiga: Il concetto è giusto. L’origine del banditismo sardo è nel riparare i torti causati alla Sardegna con l’introduzione forzosa di un concetto di giustizia e diritto, come ad esempio nella proprietà agricola. Carabinieri, guardia di Finanza, magistrati, professori di diritto, e banditi. Un'unica matrice.
Insomma sempre gli stessi luoghi comuni, da sempre. Una linea sottile dai Romani sino a Cossiga. Da Ampsicora a Gigi Riva passando per Mesina e Cossiga. Come una sorta di nebbia che deve necessariamente avvolgere sempre la nostra realtà. Solite immagini in bianco e nero di pastori e banditi, di tenores, e pecore.
Bene sono Sardo, ma non sono magistrato e non sono bandito.
Da Sardo dico che sarebbe anche ora di finirla. Io non ci sto più nell’essere identificato, sempre e comunque, tra gli uomini in vellutino di lusso (come quelli che vestiva il trapassato) e quelli che il vellutino lo usano o lo usavano per scappare dae sa Giustizia. Un atteggiamento, lo capisco, che vende bene il prodotto. Una operazione di marcketing culturale che dura da due millenni: dalla mastruca al vellutino.
Ma nell'Isola baciata da sole non c’è veramente altro? Io sono convinto, dato che la vedo, la studio, che esiste un’altra Sardegna, che non è sempre il lotta contro sa giustiza, ma vorrebbe avere, e giustamente, quello che le spetta: scuole, strade, ospedali, servizi, università di alto livello e non frutto della commistione tra banditi e magistrati. Che vuole vivere finalmente civilmente. Che è stanca di avere sulle sue spalle da sempre la medesima etichetta di pastore, testardo, e silenzioso. Tutto questo sa di vecchio, di usurato e se vogliamo dirla tutta, non ha mai funzionato e oggi, e sopratutto domani, non funziona. O almeno non funziona più per me.
Quindi chi è il vero Sardo?
Cos'hanno in comune Rosa Luxembourg, Rosa Parks, Karen Olsen De Figueres, Maria Teresa Roxas, Alexandra Tolstoj e Ludmila Zhivkova e Cossiga? Un'indomita volontà di giustizia, il rifiuto di piegarsi alle prepotenze, il sogno di un mondo diverso...diversi corpi stessa mente.
RispondiEliminap.s
un'amica mi ha detto ."è morto Cossiga! eeee... chi no era creadura, ra matessi buscaccara abiami". non sò se si scrive così!
Rifletto...naturalmente a tempo perso!
Stefania Piredda