venerdì 14 agosto 2009

Letture. "Una luce passeggera" di Aldo Tanchis


Sebbene sia sardo, ha il torto di non portare una “u” nel cognome, non veste di velluto e usa la punteggiatura così come dev’essere usata. È forse per questi difetti che in giro non si sente parlare di Aldo Tanchis?
Eppure il suo terzo romanzo, Una luce passeggera, uscito nel 2008 per “Il Maestrale”, è un esempio di scrittura dignitoso come pochi. In meno di cento pagine Tanchis ha il coraggio di non fare folklore, di non trasformare le vicende di una famiglia sarda nel solito scampanellio di pecore al pascolo. La famiglia in questione si compone nell’Africa orientale: Eolo e Liliana si incontrano e si innamorano ad Addis Abeba. Lui, partito da Cagliari, è uno dei 400.000 soldati che nel 1936 permettono a Mussolini di offrire al re d’Italia la corona di imperatore d’Etiopia; lei, nata in Emilia, ha seguito la famiglia nell’avventura coloniale di una drogheria e di un bar. I piani narrativi sono due: quello dell’esperienza abissina, che terminerà con la cacciata degli italiani nel 1941, e quello della vita in Sardegna nel secondo dopoguerra. Passato e presente, alternandosi, compongono un quadro famigliare ricco, denso di avvenimenti, allegrie, delusioni, ingiustizie. A fare da sfondo, l’imperialismo popolaresco fascista e tutte le difficoltà di un periodo storico critico.
Nota importante: la lingua di Aldo Tanchis non è la turistica limba pensata per accompagnare porcetti, culurgiones, mirto, launeddas e canti in re. In luogo del dialetto forzato che farcisce dozzine di libri, nelle sue pagine scritte in bell’italiano si trova infatti un dialetto spontaneo, che non guerreggia affatto con l’italico codice linguistico ed anzi lo arricchisce. Come quando Liliana, “china davanti al camino, sperando di risvegliare il sorriso della brace fra i grigi della cenere, soffierà nel sulafogu”. Il termine, che indica l’arnese per soffiare sul fuoco, ha tutta un’altra forza espressiva rispetto all’italiano soffiatoio.
Inoltre, la lettura di Una luce passeggera – a conferma della qualità della narrazione – consegna all’immaginario uno di quei personaggi ai quali ci si affeziona, di quelli che ritornano nella mente e dei quali si sente la mancanza una volta finito il libro: è Liliana. Con lei l’autore riesce a rendere bene la magia che si sprigiona dallo sguardo di una donna, la delicatezza potente di un abbraccio materno, la tristezza infinita dei passi di una moglie stanca. Così, senza ricorrere ad accabadoras o ad altre figure suggerite dai cataloghi promozionali dell’isola, il nostro scrittore fa un bell’omaggio al genere femminile. Solo alla fine, con una postilla inserita intelligentemente fuori dal romanzo, il lettore scoprirà – sorridendo - che si tratta di un atto di amore filiale.
Gianluigi Recuperati, recensendo Pesi leggeri , il primo lavoro di Aldo Tanchis, nel 2002 definì l’autore “un romanziere onesto e inaspettato”; a quella definizione io oggi aggiungo altri due aggettivi: maturo e consapevole. Da leggere.


Denise Pisanu

8 commenti:

  1. Neanche Niffoi ha la "u" nel cognome.

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  2. Sepulveda, Turgenev, Quasimodo, Proust, Pound, Neruda, Maupassant, Marquez invece si. Burrougs ne ha addirittura due!

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  3. Prontooooooooooooooooooooo!
    Il caldo! Oggi si schiuma.

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  4. Quasimodo non lo avrei messo.
    Cmq a me Niffoi mi fa cuguru.

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  5. Mea culpa!
    hai ragione Quasimodo non c'entra, però ci sono affezionato.
    Diciamo che il mio è stato un errore politico in quanto ho iniziato ad apprezzarlo da quando ho scoperto che era un antifascista.
    Leggerò "Una luce passeggera"

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  6. Non so se leggerò "Una luce passeggera". Però ho apprezzato la recensione e, infine, capito perché Denise apprezzi Tanchis, o, meglio, come l'abbia conosciuto.

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  7. ti riferisci a "Pesi leggeri" immagino

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