venerdì 31 luglio 2009

Cultura. Zia Maria e De Andrè

«Chie no cheret bene a sos canes no cheret bene mancu a sos cristianos» (“chi non vuol bene ai cani non vuol bene neanche agli uomini”). Devo questa pillola di saggezza a zia Maria (dove zia e Maria sono fatti reali), che nella sua vita ha conosciuto bene l’animo degli uomini e dei cani. Tutta la nostra vita è condizionata dalla nostra forma e dalla nostra formazione, infantile e giovanile, e dopo un po’ non possiamo farci quasi niente. Difficilmente miglioriamo, al limite manteniamo e conteniamo. Però possiamo conoscere, quasi a dismisura. La mia conoscenza di De Andrè, da bambino, è legata a un contesto squallido di penombra estiva, caldo e fumo. La canzone di Marinella e Bocca di rosa andavano a oltranza sul giradischi di uno zio minore e il timbro tombale di Faber faceva il resto. Ho dovuto attendere gli arrangiamenti della PFM per sentire vive quelle canzoni e conoscerne delle altre. Ma, come detto, l’imprinting è fondamentale e letale. Ancora più recentemente ho scoperto e riscoperto altri brani grazie alle reinterpretazioni di una cover band sarda (i Doc Sound) che ne ha fatto il tratto dominante del proprio repertorio. Il fatto è che tra libri, video e tributi musicali, il fenomeno De Andrè mantiene dimensioni incredibili. Santificato già da vivo, la sua venerazione è in crescita costante al punto da rendere paradossali se non ridicole le infinite iniziative “per non dimenticare”. Nessuno dimentica, nessuno può dimenticare. Semmai alcuni non riescono ad elaborare il lutto e ad andare avanti. Non riescono i fans, non riescono Cristiano De Andrè, anima fragilissima che in questi giorni risorge artisticamente grazie alla compiuta reincarnazione in lui del padre, e la PFM, che certifica e giustifica la propria esistenza nella riproposizione dei vecchi successi del cantautore genovese. Non dimenticano i sardi e la Sardegna, che devono scontare anche la colpa del barbaro rapimento, la cui miseria morale aumenta nel tempo proporzionalmente alla caratura artistica e intellettuale di Fabrizio De Andrè. La cui poesia e musica, che lo si voglia o no, scavano a fondo dentro la coscienza e la memoria lunga di individui e collettività, lasciando un solco lungo il viso, come una specie di sorriso.

Alessandro Soddu

2 commenti:

  1. Concordo, le continue celebrazioni sono ridicole e anche un tantino fastidiose. E diciamo pure che troppi, ormai, campano sul genio artistico di De Andrè!
    E aggiuno anche una cosa che mi diverte molto: buona parte degli abitanti di Tempio ha un aneddoto su Faber! Il segno, questo, che del mito vogliono far parte un po' tutti.

    Denise Pisanu

    RispondiElimina
  2. La vita non è uguale per tutti. Bisogna diventare grandi, uomini per capire determinate cose. Non credo che nella vita esistano fasi di impriting come negli animali che nei primi giorni, anni, imparano tutto e poi una comoda e severa rilettura del passato senza la speranza di provare nuove emozioni. Fabrizio De Andrè è stato un poeta e un cantante. Non tutto quello che ha fatto è stato un capolavoro, ma solo chi a visto gli stessi panorami e si è soffermato a volta a osservare, ammirare, scrutare riesce a capire le sue parole che sono universali anche se espresse nella sua lingua

    Umbre de muri muri de mainé
    dunde ne vegnì duve l'è ch'ané
    da 'n scitu duve a l'ûn-a a se mustra nûa
    e a neutte a n'à puntou u cutellu ä gua
    e a muntä l'àse gh'é restou Diu
    u Diàu l'é in çë e u s'è gh'è faetu u nìu

    E 'nt'a barca du vin ghe naveghiemu 'nsc'i scheuggi
    emigranti du rìe cu'i cioi 'nt'i euggi
    finché u matin crescià da puéilu rechéugge
    frè di ganeuffeni e dè figge
    bacan d'a corda marsa d'aegua e de sä
    che a ne liga e a ne porta 'nte 'na creuza de mä

    Ombre di facce facce di marinai
    da dove venite dov'è che andate
    da un posto dove la luna si mostra nuda
    e la notte ci ha puntato il coltello alla gola
    e a montare l'asino c'è rimasto Dio
    il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido

    E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli
    emigranti della risata con i chiodi negli occhi
    finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere
    fratello dei garofani e delle ragazze
    padrone della corda marcia d'acqua e di sale
    che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare

    Fabrizio De Andrè
    Creuza de mä (1984)

    RispondiElimina