C’è in Sardegna una gran sete di storia patria, spesso frustrata dall’insoddisfazione verso le fonti (“quello che le fonti non dicono”) e verso gli storici, che non direbbero abbastanza e bene. Se qualcosa non funziona (o, meglio, non funziona come vorremmo) nella narrazione delle fonti, se qualcosa non ha funzionato o non funziona nella claudicante ricostruzione scientifica dei fatti storici, sarà bene capire che ogni intervento di “ortopedia storiografica” non può partire dalla presuntuosa convinzione che gli altri abbiano detto o dicano solo stupidaggini, che l’accademia abbia prodotto solo merce avariata e che noi e solo noi possiamo essere la panacea per ogni male. Essere dentro o fuori dal sistema universitario implica innanzitutto l’impegno a migliorare la propria capacità e onestà d’indagine, senza agitare il vessillo vittimistico di una ingiusta esclusione dal consesso scientifico e/o accademico. La patente di attendibilità e autorevolezza si guadagna sul campo, attraverso la dedizione e una puntuale analisi delle fonti. Ricoprire una cattedra non abilita automaticamente alla veridicità scientifica, così come essere fuori dall’Università non è garanzia del contrario. Ricercatori e docenti non sono cioè tutori di alcuna verità né tanto meno dei fatti storici, anche se per statuto e vocazione sono deputati al loro studio e alla divulgazione dei risultati delle proprie ricerche in merito; ma è altrettanto vero che cultori e appassionati estemporanei non possono pretendere di sostituirsi a priori ai professionisti della ricerca storica nel nome del degrado dell’accademia e dell’insoddisfazione per gli orientamenti “ideologici” della ricerca stessa. Iniziative analoghe in altri settori più propriamente definiti scientifici vengono giustamente bollate come atti di ciarlataneria, talora perseguibili anche penalmente. Troppo spesso invece per le discipline storiche viene rivendicata la libertà di pensiero, sancita certamente dalla Costituzione ma declinata più facilmente come “pensieri in libertà”. Affabulazione e potere mediatico (non necessariamente quello dei grandi gruppi: si intendono anche i 4-5000 euro di tasca propria investiti per una pubblicazione) fanno il resto. Sergio Frau non è certo uno sprovveduto, ma senza il gruppo “Espresso” alle spalle la sua Atlantide sarebbe rimasta sott’acqua.
Alessandro Soddu
Un pluridecorato della produzione scientifica non riconosciuta dal sancta sanctorum accademico plaude alle tue parole.
RispondiEliminaAquarius
Quel che dici è condivisibile e, secondo me, pacifico.
RispondiEliminaRimane il forte dubbio, come sottolineo spesso, che tanta pubblicistica un po' raffazzonata e facilona non sconfinerebbe nelle "nicchie di mercato" della storiografia scientifica e non affascinerebbe un target più vasto di quello che di solito segue i voli pindarici di Giacobbo, se non esistesse in Sardegna una carenza sistemica e sistematica di "offerta" storica.
Le ragioni di questo fenomeno sono tante e certo ha il suo peso l'assoluta sottovalutazione della storia come materia di insegnamento e come metodologia critica nelle scuole di ogni ordine e grado.
Inoltre, chissà perché, da parte di diversi storici accademici ormai "arrivati" prevale sempre la tentazione di buttarla in politica, anziché limitarsi al proprio onorevolissimo mestiere.
E qui penso a quanto sostiene F.C. Casula a pag. 39 del suo La storia di Sardegna, Sassari-Pisa, 1994 (?). Ma mi viene anche in mente Italo Birocchi, alla fine del suo saggio sull'autonomia, in AAVV, Storia d'Italia. Le regioni dall'Unità a oggi. La Sardegna, Torino, 1998, p. 199. E di esempi se ne potrebbero fare altri.
Insomma, c'è nella nostra storiografia "ufficiale" un certo inquinamento ideologico, che spesso si accompagna all'inserimento forzoso e a tratti veramente provinciale di tutta la lunga e complessa vicenda storica sarda in un orizzonte di senso prettamente italo-centrico. E si finisce per scrivere più la storia dei pisani o dei piemontesi in Sardegna, che quella dei sardi. Senza contare l'appiattimento - direi quasi patologico nonché generalizzato - sul livello meramente evenemenziale del discorso storico.
Di problemi ce ne sono, dunque, ma sono proprio lieto che se ne possa finalmente discutere apertamente.
Quanto a risolverli, certamente ci vorrà tempo. Ma se mai si comincia...
Con stima,
Omar Onnis
Caro Omar, saluto con gioia il tuo intervento e ne approfitto per riannodarmi alla questione della presenza o assenza dei Sardi dal teatro della Storia, o, meglio della storiografia. Tutti vogliamo sapere chi erano i Sardi, cosa pensavano, cosa facevano, cosa volevano. Ma si sa che le fonti tramandano quasi esclusivamente la storia del potere e dei suoi vertici, delle élites. Ciò non toglie che sia possibile vedere in controluce l’azione del “popolo”. Una coraggiosa collana storiografica di qualche anno fa è stata significativamente intitolata “Storia dei Sardi e della Sardegna”. Se l’obiettivo di focalizzare il ruolo dei Sardi non è stato ancora raggiunto è perché rimane ancora da chiarire e ordinare il quadro degli eventi (quelli più grandi ma anche quelli piccoli) e delle strutture istituzionali, sociali ed economiche, che le fonti - si sa - descrivono facendo quasi sempre riferimento alle classi dominanti. Però Giuseppe Meloni, pubblicando nel 1993 gli atti del Parlamento celebrato a Cagliari nel 1355, ha messo in luce lo straordinario spazio riservato ai “Sardi” in un braccio dell’assise parlamentare, di cui è rimasta un’apprezzabile traccia documentaria. Per dirla alla Giacobbo, c'è vita su Marte.
RispondiEliminaAlessandro Soddu
Alessandro, posto che la questione delle fonti rimane una delle più importanti e delicate del metodo storico, bisogna anche chiarire qualche aspetto specifico relativo al loro reperimento e al loro utilizzo riguardo la storia sarda.
RispondiEliminaIntanto, secondo me bisognerebbe sfatare il mito di una patologica e tutta specifica assenza di fonti che ci riguardino. Non solo di fonti in senso lato, ma anche di fonti documentarie.
I casi in cui tale assenza si può riscontrare (e mai in termini assoluti), hanno le loro ragioni, che meriterebbero di essere a loro volta indagate. Per es. la mancanza di documenti riferibili alla corte e alla cancelleria del giudicato arborense, specie dgli ultimi cento anni della sua esistenza, è fin troppo sistematica per non essere sospetta (come nota M. Tangheroni). Ma appunto lì ci sono delle cause che si possono facilmente ipotizzare e l'assenza di documentazione di parte giudicale può essere colmata, sia pure con prudenza e con molto senso critico, attraverso la documentazione catalana ed europea coeva.
Senza contare che c'è ancora tanto lavoro di ricerca e pubblicazione di documenti da fare (ma qui dovrei aprire una lunga parentesi a proposito di scelte accademiche e finanziamenti della ricerca storica, scelte per le quali purtroppo la Sardegna dipende in larga misura e in molti sensi dall'Italia; detto in termini non nazionalisti, ma pragmatici).
Poi c'è un altro aspetto della questione, quello che mi preme di più mettere in evidenza.
Che le fonti siano poche o tante, quel che le rende fruttuose è la loro corretta inerpretazione e il loro utilizzo secondo il metodo critico proprio della disciplina storica. Ora, a me sembra - posso sbagliarmi - che molto spesso gli storici sardi abbiano utilizzato le fonti a loro disposizione appiattendosi acriticamente sui documenti, senza alcun distacco e senza assumere un punto di vista di partenza distinto da quello degli estensori dei documenti medesimi. Cosa che, nei numerosi casi in cui le fonti documentarie sono di produzione straniera, inevitabilmente sposta la soggettività che produce il discorso storiografico fuori della Sardegna. E' così per tutte le epoche e in gran parte anche per l'epoca contemporanea (basti citare il Manno, per capire a cosa mi riferisco, ma mostra i sintomi di tale strana sindrome anche la storiografia novecentesca, prettamente italo-centrica).
Oggi forse le cose stanno cambiando, ma è indubbio che la produzione storiografica sarda stratificatasi da duecento anni in qua soffre pesantemente di questo spostamento verso l'esterno della prospettiva sotto cui ci osserviamo e ci raccontiamo.
Non si tratta di mistificare o manipolare i documenti, ma solo di "leggerli" assumendo come soggetto storico di riferimento i sardi e la Sardegna. A quel punto non ci sarà alcun bisogno di attendere che qualcun altro ci legittimi come parti in causa della Storia, perché noi avremo la "nostra" storia da raccontare al mondo.
Omar
Caro Omar,
RispondiEliminadici bene, ed infatti l’assenza o la variabile quantità di fonti andrebbe studiata come questione a sé, per sfuggire ai troppo facili teoremi della distruzione dolosa, della dispersione e degli agenti “strutturali” (incuria e topi).
Quanto agli errori della storiografia passata e di quella recente (compresa parte di quella attuale), preferisco metterci una lastra sopra. Di vetro però, in modo da poterla osservare come un capitolo della storia degli studi. L’importante è che chi, oggi, studia/scrive e anche legge storia abbia la volontà di farlo senza (eccessivi) condizionamenti. E andare avanti, senza voltarsi continuamente indietro col rischio di pietrificarsi…
Alessandro Soddu