mercoledì 20 ottobre 2010

Società. La realtà è che sto fingendo


Per chi oggi ha più o meno quaranta anni il termine reality evoca dal profondo una sola cosa: l’omonima canzone del film con Sophie Marceau, Il tempo delle mele (La boum), che identificava e magnificava il periodo dell’adolescenza. L’uso che da un po’ di tempo se ne fa, abbinato alla sua componente paradossale, lo show, è quanto di più lontano possa esserci, sia dalla “realtà” che da quella realtà ricostruita cinematograficamente. Perché l’adolescenza è una cosa maledettamente seria e “vera”, durante la quale si decidono destini e vite intere, spesso per (pesanti) responsabilità altrui, mentre il baraccone televisivo che attinge a piene mani dal privato di persone qualsiasi (o a volte, al contrario, “famose”) mette in scena una finzione che si pretende di spacciare come realtà, scimmiottata da adulti in fase regressiva che possono in questo modo compiacere il proprio narcisismo, oltre che guadagnarci qualcosa. In ogni caso, di “reale” non c’è un accidente, ma la “verosimiglianza” è più che sufficiente per destare un’attenzione morbosa e lucrare così rendite pubblicitarie altissime.
Tuttavia la realtà ama prendersi la rivincita e la cronaca nera è in grado di offrire quotidianamente il pane per la curiosità degli esseri umani. Capita così che un fatto accaduto in un anonimo paese della Puglia possa rivelarsi mille volte più accattivante di un reality show e i primi ad esserne consapevoli sono addirittura i protagonisti, che (come autorevoli esempi di caratura nazionale) preferiscono andare in tv anziché dai magistrati ad esprimere le proprie confessabilissime emozioni ed opinioni. Parte così il circo mediatico, che assolda tutti, pagando bene e incassando cento volte di più. Ma ancora una volta la realtà bussa alle porte dei camerini e ricorda a tutti che c’è un conto a parte da pagare. Le scene di isteria di fronte alle telecamere per il progressivo sgretolarsi del castello narrativo-televisivo è la prova di quanto questo meccanismo sia pericoloso, oltre che inutile ai fini di quell’accertamento della verità che unicamente dovrebbe interessare le parti lese o presunte tali. Dall’altro versante, è altrettanto indicativa la frustrazione di un Bruno Vespa di fronte all’ostinato mutismo da parte di alcuni dei protagonisti del dramma pugliese. Il vecchio domatore non può agitare più di tanto la frusta o forse le noccioline sono finite.
Si avvera così ogni giorno di più la famosa profezia di Andy Warhol sulla fame di notorietà dell’uomo contemporaneo, che riesce a sentirsi – paradosso dei paradossi – “realizzato” solo nella misura in cui riesce ad essere almeno per qualche minuto homo televisivus, cioè finto.
Alessandro Soddu

3 commenti:

  1. E' molto difficile, sempre di più, distinguere il pubblico dal privato e soprattutto è completamente saltato il principio di "vergogna" grazie alla quale da ragazzini avevamo timore a chiedere un gelato al bancone di un bar. Ora prevale come osservi tu la questione protagonistica, l'affermazione della propria personalità ad ogni costo, senza comprendere che la personalità del singolo fa normalmente schifo, anche al volersi limitare al rutto in diretta.
    Ecco perchè secondo me sono veri entrambi, il GF di fuori con Sabrina Misseri e 'O ciuccio suo padre ma anche il GF di dentro con i petomani rinchiusi per cento giorni in gabbia pronti a tutto e in fin dei conti a niente.
    Come noi.

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  2. Però lo specchio alla fine, in questo caso l'acqua, riflette la realtà delle cose e l'immagine riflessa della mano ne è la prova.
    Homo homini lupus.

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  3. Strano che nessuno abbia pensato a un GF in una miniera cilena, avrebbe fatto i soldi a palate!

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