Pedro Juan, encantado! Pedru Maria, a chent’annos! Non so se il nesso filologico sia valido, ma non importa. Il piacere è stretto nella mano, callosa e piena di ricordi che si perdono nel tempo e in uno spazio smisurato, nonostante il contenitore sia un’isola. Alla quale siamo portati a guardare troppo spesso con occhi innamorati. Ma di un amore finto. Piuttosto, un’infatuazione, che dura quanto una canzone dei Tazenda. E che mischia orgoglio televisivo e paura per il futuro, Marco Carta e Petrolchimico, veline e pane carasau. Un amico mi ripete da tempo che «un giorno, non so quando, prendetevi tutto il tempo che volete, bisognerà pur piantarla di essere sardisti!». Oppure occorrerà esserlo in modo diverso, del tutto nuovo. Provando a uscire dall’autofolklore nel quale siamo precipitati, buono apparentemente per ogni evenienza. Del sardo-testardo, della proverbiale generosità e ospitalità dei Sardi, della Sardegna arcaica e misteriosa (una Sardegna da mare) sarebbe davvero ora di sbarazzarsi per tentare di battere una strada che realizzi altri valori con interlocutori più affidabili. Alla fine dell’Ottocento, Giuseppe Todde scriveva a proposito dei provvedimenti di legge adottati dal governo sabaudo: «è manifesto come i progressi della pubblica economia [...] fossero opera vana, vuoi pure dannevole, per chi volea cristallizzare il medio evo nell’Isola, pur confessandola fertilissima terra nei proemi dei regi editti, ma lasciata spopolata di cittadini e popolata di nobili, ecclesiastici, privilegiati e parassiti». Ecco. Cento anni dopo le cose non sembrano essere cambiate granché e tutto ed il contrario di tutto passa sulle nostre teste testarde: basi militari, carceri speciali, poli industriali, vertici internazionali. Lavoro e tumori, sorrisi e canzoni. Come nel gioco delle tre carte assistiamo inebetiti all’assegnazione e sottrazione di risorse vere e presunte, mentre l’unica autentica risorsa, quella umana, è ridotta a zerbino del potere o si dimena in infinite pratiche masochistiche. In realtà, lo si dovrà pur dire, siamo ostaggi di due egoismi, quello demografico e burocratico cagliaritano e quello turistico gallurese. In attesa che il nodo si sciolga possiamo continuare a mangiare tiriccas e seadas fino a scoppiare. A quel punto non riusciremo a vedere più neanche l’amato ombelico.
Alessandro Soddu
se ci fossero triccas e seadas a scoppiare saremmo già in una condizione migliore dell'attuale. il punto è che qui si è sempre fatta fatica anche a mangiare a sufficienza.
RispondiEliminacmq bel pezzo. riniziamo da qui dal rigetto della sarditudine.
A che indirizzo mail posso scrivervi per chiedervi alcune cose?
RispondiEliminaGrazie,
Antheo
“Quando il dito indica la luna, lo sciocco guarda il dito.”. Questo proverbio cinese è la sintesi migliore di quanto successo negli ultimi giorni.
RispondiEliminaPER ANTHEO E CHIUNQUE VOLESSE SCRIVERCI
RispondiEliminal'indirizzo a cui scrivere è il seguente
dies.demo@gmail.com
Dies