giovedì 27 gennaio 2011

Memoria. Oltre il 27 gennaio

Se vogliamo ricordare perché crediamo che la dignità della vita umana non possa essere schiacciata dalla brutalità e dalla sopraffazione, allora dobbiamo convincerci che la memoria non può essere soltanto per alcune vittime, ma dev'essere per tutte le vittime.










صبرا وشاتيلا / Ṣabrā e Shātīlā
16-18 settembre 1982



F. O.

18 commenti:

  1. la memoria è un esercizio troppo lussuoso nel momento in cui il presente inghiotte tutto e del resto, almeno in Italia, da quando è apparso S.B. da una parte si è soffiato sul fumo dell'oblio e dall'altra attinto dal cassonetto del passato per risvegliare odi ancestrali e la propaganda più becera; è triste dirlo, ma della "giornata della memoria" del 2011 non si ricorderà niente; figuriamoci ricordarsi di ricordare tutti

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  2. Purtroppo è vero. Secondo me, anzi, già da molto tempo la "giornata della memoria" viene riproposta (almeno qui da noi) in modo meccanico, come una specie di abitudine, senza la coscienza vera di ciò che essa sottende.

    F. O.

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  3. La giornata della memoria è stata istituita in Italia nel luglio 2000 e quindi celebrata a partire dal 2001. Dire "già da molto tempo" cosa significa?

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  4. Direi che significa "praticamente da subito", ma non volevo dare l'idea di uno che non rispetta la "memoria": sono convinto, tuttavia, che se la comunità ebraica non avesse voluto fortemente quella giornata commemorativa, a nessun'altro, spontaneamente, sarebbe venuto in mente di istituirla. Neanche ai tanti "amici di Israele".

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  5. Dire a uno storico "già da molto tempo" è ovvio che risponde che non vuol dire nulla/tutto.
    Che ridere m'immagino Mauro Sanna che dice:...sii più preciso...ahahahah

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  6. avrebbe detto "sia più preciso" (la philologie, madame...)

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  7. ...Potrebbe dirlo a voi, però, non ad un altro "storico".

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  8. a me non me lo dice...mi sa che l'ha detto proprio a te..

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  9. bambini? su' fate da bravi!

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  10. Anche a me piace scherzare: "a me non me lo dice" ...non si dice! :-)
    Però avevo proposto un tema grave, terribile. I crimini contro l'Umanità. Perché non proviamo a discuterne?

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  11. a ss diciamo "ee ohiaaa!!!"

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  12. La ripresa del clitico è considerata come uno degli errori più comuni della lingua italiana; ricorre talora nello scritto e nel parlato più pianificato con fini parodici. La ripresa del clitico viene talvolta chiamata con il termine, piuttosto dispregiativo, di uso pleonastico del pronome.

    Va però detto che l'accostamento dei due pronomi col medesimo significato si può riscontrare, a seconda del contesto, in molti autori classici della lingua italiana e non è considerato da tutti i grammatici un errore. In effetti non esiste regola che vieti la ripetizione successiva di più parole con il medesimo significato. Nei dialetti, come quello toscano il raddoppiamento del pronome personale dativo è un fenomeno morfologico piuttosto frequente e non viene considerato come un pleonasmo.

    Anche il linguista Aldo Gabrielli scrive in proposito: «Non è errore, non è da segnare con matita blu, e nemmeno con matita rossa. Qui pure si tratta semplicemente d'un di quei casi in cui la grammatica concede l'inserzione in un normale costrutto sintattico di elementi sovrabbondanti al fine di dare alla frase un'efficacia particolare, un particolare tono. È insomma uno dei tanti accorgimenti stilistici di cui tutte le lingue fanno uso».[3]

    Secondo Giovanni Nencioni, presidente onorario dell'Accademia della Crusca, non si tratterebbe di una ripetizione, la quale implica identità con l'elemento ripetuto, né di un riempitivo, il quale implica superfluità e inutilità.

    La costruzione è da considerarsi come corretta nell'italiano parlato più spontaneo, come quello riprodotto in questo esempio letterario:
    « A me mi par di sì: potete domandare nel primo paese che troverete andando a diritta »

    (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. XVI)

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  13. Siccome sono molto (ma molto) ignorante, a me mi sembra il caso di dare la definizione di clitico.

    clitico [clì-ti-co] s.m. (pl. -ci)
    • ling. Pronome o avverbio atono, monosillabico (p.e. ci) o bisillabico (per unione di due monosillabi: gliene), che si appoggia a un'altra parola nella pronuncia; nella grafia, quando è anteposto (proclitico) resta staccato dalla forma verbale di appoggio (ti amo; se lo ricorderà), quando è posposto (enclitico) si unisce invece al verbo (chiamale) o a ecco (eccovi)

    • Anche in funzione di agg. (pl.f. -che): i pronomi c.

    • a. 1974

    • In it., i c. sono mi, ti, gli, lo, la, li, le (pron pers. di 3ª sing. f. dativo e di 3ª pl. f. oggetto), ci (pron. e avv.), vi (pron. e avv.), si e ne (pron. e avv.); quelli che finiscono in -i terminano in -e quando segue un altro c.: p.e. mi devi dire/me lo devi dire; parlagli/parlagliene; non si modifica invece li: li si sente poco. Tra due c., quello che ha funzione di ogg. indir. precede l'ogg. dir.: p.e. dammelo

    Fonte Sabatini-Coletti

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  14. già ne sapete due righe!

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  15. Aggiungo questo "commento" perché non ci si fermi a quota "17"...

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